BREVE STORIA GEOLOGICA DEL TERRITORIO DI MORI

Di Ezio Tranquillini e Marco Avanzini

Descrivere l’aspetto che  un luogo doveva avere 100 o 200 anni fa non è facile. Se poi decidessimo di percorrere il tempo a ritroso per milioni di anni, l’impresa ci potrebbe sembrare addirittura impossibile. Eppure gli eventi del passato, anche quelli più lontani, hanno lasciato traccia di sé nelle rocce permettendoci di ricostruire con precisione la storia di epoche remote.

Le montagne che circondano Mori rappresentano un archivio complesso degli ambienti e dei fenomeni che si sono succeduti per più di 200 milioni di anni in un territorio molto diverso da quello che noi oggi conosciamo. La molteplicità delle rocce e l’abbondanza dei fossili in esse custoditi rappresentano un grande archivio di quei processi geologici che hanno visto trasformarsi l’attuale Trentino da un caldo mare tropicale alla regione montuosa che oggi noi conosciamo.

Circa 223 milioni di anni, alla fine del periodo Triassico, tutti i continenti erano uniti tra loro formando una unica grande terra emersa chiamata Pangea. Ai margini di questa terra, un mare poco profondo occupava un’area vastissima che andava dall’attuale Francia e Svizzera fino alla Grecia e tutto il territorio occupato ora dalle Alpi era caratterizzato dalla presenza di basso mare costiero.

 

La formazione rocciosa della Dolomia Principale, che costituisce le pareti giallastre di Monte Albano, si è originata proprio in questo ambiente. Osservando la roccia ci si accorge che essa sembra costituita da piccoli cristalli simili a zucchero: si tratta di dolomite, un minerale particolare che nel tempo ha sostituito il calcare di cui queste rocce erano originariamente costituite. Con un po’ di fortuna si possono rinvenire, negli strati più spessi, fossili di molluschi bivalvi Megalodonti  e gasteropodi del genere Wortenia.

 

Nel Giurassico inferiore, circa 200 milioni di anni fa, la nostra zona mantiene le caratteristiche di una vasta piana costiera. In questi ambienti si accumularono lentamente, strato dopo strato, sedimenti calcarei che, trasformatisi in roccia, vengono definiti oggi Calcarei Grigi.  Essi conservano, accanto ai resti di animali marini, anche le tracce di dinosauri (Lavini di Marco) a dimostrazione che quest’area era allora contesa tra mare e terraferma.

 

190 milioni di anni fa, le forze immani che stavano cominciando a smembrare il grande continente di Pangea, fecero sì che, appena al di là dell’attuale lago di Garda, cominciasse a formarsi un oceano. Le piane di marea sulle quali avevano camminato i dinosauri si trasformarono in vaste paludi nelle quali proliferavano enormi bivalvi (Lithiotis) simili a grandi ostriche. I loro gusci pietrificati  risaltano bene sulla roccia scura dando l’impressione di banchi di piccoli pesci: per questo i calcari grigi vennero a lungo  utilizzati come materiale da costruzione e scultura con il nome di pessatela. Le paludi erano anche ricche di vegetazione che si trasformò nel carbone cavato, fino agli anni ’30, nella Valle della Sorna e verso il Passo di San Giovanni.

 

Gli strati massicci di questa roccia dal tipico colore grigio sono tagliati dalla strada che da Loppio sale al Piantino verso Valle San Felice. Costituiscono l’ossatura dei rilievi del Grom, del Faè, del Monte Garda e sono ben evidenti anche alla base del Monte Giovo, a Corno e verso Sano da dove risalgono il versante nord del Monte Altissimo fino alla Val del Parol.

Circa 180 milioni di anni fa il mare divenne più profondo e le paludi vennero coperte da grandi mucchi di sabbia giallastra spazzata dalle onde. Questa sabbia, compattata  e trasformata in roccia, diede origine alla formazione dell’Oolite di San Vigilio della quale il Giallo di Mori, cavato anch’esso per scopi ornamentali in Val di Gresta  (Grom) e sul Monte Giovo, rappresenta una varietà particolare.

 

Circa 160 milioni di anni fa la costa venne completamente sommersa e l’area di Mori si trasformò in un fondale marino sul quale si accumulavano lentamente (meno di un millimetro ogni mille anni!) fanghi rossastri. Questo colore, assieme ai fossili più tipici di questa epoca ( le ammoniti) è all’origine del nome della formazione rocciosa che ne deriva: il Rosso Ammonitico. Le sue caratteristiche cromatiche e di resistenza ne hanno fatto la pietra da costruzione principale  in gran parte del territorio trentino. Nei dintorni di Mori, sul Monte Giovo e in Val di Gresta, le cave di Rosso Ammonitico furono attive fin dal medioevo e le pietre da qui ricavate servirono a costruire gran parte dei palazzi e delle case del periodo rinascimentale.

140 milioni di anni fa, nel corso del Cretaceo, iniziò la collisione tra Africa ed Europa che fece emergere una catena di basse isole rocciose in corrispondenza dell’attuale Austria. Nel Trentino, ancora sommerso dal mare, si formò una serie di dorsali allungate in senso nord est-sud. Nelle zone più profonde si accumularono strati calcarei bianchi e nerastri conosciuti con il nome di Biancone e Scaglia Variegata, contenenti talvolta idrocarburi. Affioramenti di queste rocce sono ben visibili nella zona di Talpina, a Ravazzone (Camanghen), a monte di Corniano sulla strada per San Bernardo ( e su quella per Nomeson) e a Nagustello.

 

Nel Cretaceo Superiore, 100 milioni di anni fa, i fondali continuarono a sollevarsi e fanghi rossastri provenienti dalle terre emerse settentrionali raggiunsero anche i  nostri territori. La Scaglia Rossa è la roccia che ne deriva. E’ facilmente  riconoscibile perché fittamente stratificata e di colore rossastro. Costituisce il coronamento delle pareti a monte di Corniano, ma si vede anche in molte zone della Valle di Gresta e sotto Sano. Frequente è la presenza nella roccia di “gnocchi “ di  selce, visibili  ad esempio lungo la strada della Valle di Gresta appena a monte della località Piantino. Questo materiale vetroso durissimo ha fatto in modo che le zone dove affiorano queste rocce fossero frequentate fin dalla preistoria allo scopo di sfruttare la selce per produrre armi ed utensili. L’utilizzo della selce è continuato in certe aree del Monte Baldo fino alla metà dell’Ottocento allo scopo di produrre pietre focaie utilizzate per i fucili, detti appunto “a pietra focaia” nonché per accendere il fuoco nelle case.

 

Il progressivo sollevamento dei rilievi sottomarini fino alla fascia dove filtra la luce del sole fece in modo che su di essi circa 50 milioni di anni fa potessero svilupparsi comunità di organismi costruttori come i coralli e le spugne. Uno di questi rilievi sottomarini coincide quasi esattamente con l’attuale catena del Monte Baldo – Monte Bondone. La roccia tipica di questo periodo e detta Calcare di Torbole ed è costituita da banchi massicci di calcari con elevato contenuto di fossili tipici di ambienti di acqua bassa come bivalvi, gasteropodi e crostacei. Si può seguire la Scaglia rossa, con la quale contrasta per il suo colore grigio-biancastro, da Nago  fino alla Valle di Gresta e poi verso Brentonico, nei campi di Besagno.

Nello stesso periodo, in coincidenza con gli eventi che stavano portando all’emersione della Catena alpina, la crosta terrestre venne sottoposta a trazioni e stiramenti. Si formarono profonde fratture e le masse di magma imprigionate al di sotto della crosta terrestre si spinsero verso la superficie. A San Bernardo, a Malga Somator, a Manzano, a Nomesino e a Castione sul fondo del mare si aprirono grandi condotti vulcanici. Le violente eruzioni fecero fluire la lava che si accumulò con spessori di decine di metri sui fondali marini circostanti (Ravazzone, Besagno, Sano, Pannone) avvelenando le acque e bloccando la vita delle scogliere coralline.

 

Ben presto però le eruzioni si esauriscono e nuove scogliere crescono sopra i vulcani sottomarini. Questi organismi si accumulano velocemente strato su strato originando il Calcare di Nago che nell’Eocene superiore ( 40n milioni di anni fa) si spinge  verso nord fino alla Val di Non (presso Cloz e Revò) e ad est si collega con l’ampia piattaforma dei Monti Lessini.

Il Calcare di Nago sostituisce le creste più elevate del Monte Biaena e del Creino scendendo fino alla Valle del Sarca.

Più passa il tempo e maggiori divennero le aree in emersione tanto che solo in pochissimi luoghi potevano ancora depositarsi sedimenti marini. Uno di questi è compreso tra Gombino e le pendici occidentali del Monte Biaena (Prà del Lac) dove si accumulano le rocce marine più recenti del Trentino. In queste rocce, che hanno circa 10 milioni di anni, sono comunissimi i resti fossili di conchiglie molto simili a quelle che popolano oggi  i  nostri mari, ma anche di crostacei e di pesci.

L’attuale “volto” del Trentino si disegna negli ultimi 4 milioni di anni, una volta emerso completamente dal mare. A quel tempo, la geografia delle nostre vallate era piuttosto diversa da quella attuale. Solo per fare un esempio il fiume Adige si gettava nella Valle del Sarca, attraverso la Valle di Loppio e il Passo di S. Giovanni.

 

La storia più recente è dominata dall’ultima grande glaciazione quando la Valle dell’Adige era percorsa da una grande lingua glaciale che nelle conca di Mori superava i 1500 metri di spessore. Per questo motivo emergevano dalla coltre gelata solo le cime più alte (Biaena, Stivo, Altissimo), che diventarono oasi di rifugio per specie vegetali alcune delle quali non scenderanno più a quote più basse (endemismi). Le tracce più evidenti del passaggio dei ghiacciai è costituita dagli imponenti depositi di detriti abbandonati alla loro fusione. Determinando la natura dei ciottoli e risalendo alla loro provenienza si possono ricostruire i movimenti degli antichi ghiacciai. I blocchi di granito provengono dalla Val di Sole o dalla più ben lontana Val Venosta, i blocchi di porfido dal Trentino orientale, le rocce metamorfiche ancora dalla Val Venosta, le dolomie dalle Dolomite di Brenta e così via.

 

In alcune aree,come ad esempio a Corniano, sono presenti dossi rocciosi allungati nella direzione del flusso glaciale che, con le loro striature prodotte dall’abrasione dei ciottoli trascinati dal ghiaccio, sono uno dei più comuni indicatori della passata presenza di un ghiacciaio ed offrono una prova certa della loro capacità erosiva.

Quando i ghiacciai iniziarono a ritirarsi, circa 15.000 anni fa, le vallate si colmarono di sedimenti (sotto Mori ci sono più di 100 metri di ghiaie) e i versanti montuosi arrivarono lentamente alla forma attuale. Le forze che in passato hanno plasmato il volto della Terra sono al lavoro anche il giorno d’oggi. La velocità con la quale esse agiscono è però normalmente immensamente inferiore alla durata della vita media delle persone e per questo motivo ci appaiono difficilmente percepibili. Il risultato è che l’uomo tende a considerare la superficie terrestre un qualcosa di statico e gli unici suoi movimenti dei quali ci accorgiamo (frane, alluvioni, terremoti) vengono percepiti come l’eccezione piuttosto che la regola.

Ma i terremoti, le pieghe delle montagne, le grandi fratture ci ricordano ogni giorno che viviamo su un pianeta inquieto, in perenne trasformazione. 

  

 

 

 

Tratto da “El Campanò de San Giuseppe “ anno 2007  stampato da “ La Grafica Srl  Mori (TN) “