Castel Albano

Il muraglione che si staglia ai piedi del Zengio Rosso, sul pianoro di Monte Albano, è quanto rimane del Albani, l’antico maniero che ancor oggi incuriosisce il viaggiatore.

 

Il cronista veneto Marin Sanudo , scendendo lungo il fiume Adige per ritornare a Venezia, nella primavera del 1483, osservava i molti castelli della Val di Lagaro, tra cui quello “S. More”, come annotò riguardo proprio al castello di Albano. A quel tempo il castello era già un rudere, distrutto dai veneziani nel 1439, una punizione inflitta al proprietario Guglielmo Castelbarco da Lizzana che aveva osato ribellarsi alla signoria veneta, presente in Vallagarina da oltre un trentennio. Il castello non fu più ricostruito, forse perché la sua posizione strategica non era considerata utile o la sua manutenzione, troppo dispendiosa.

 

Aveva avuto un ruolo di tutto rispetto nella storia della feudalità lagarina, quel castello sorto tra il XII e XIII secolo, come ipotizza lo storico trentino Aldo Gorfer. Lo storico padre Tovazzi fa risalire la costruzione del castello al 1216. Il nucleo originario era stato costruito sulla sommità del colle, e la cinta difensiva della residenza, alla base, correva lungo un perimetro di duecento metri, racchiudendo un’area di 1905mq . Mura dallo spessore variabile, da m. 0,80 a m. 1,30 di regolari conci a vista, proteggevano gli edifici che sorgevano all’interno della fortificazione, addossati alle mura verso Sud-Est. All’esterno il castello era delimitato da strade pubbliche, dalle proprietà della Comunità di Mori e dal Lararium Albani, che possiamo ipotizzare come l’edicola religiosa di Albano. Gli studi dello storico francescano padre Tovazzi, confermano infatti l’esistenza di una cappella dedicata a Santa Maria di Albano, risalente al 1279, adiacente al castello.

 

Alcuni antichi rogiti riportano l’esistenza del castello con nomi diversi; in un documento del 1263, il maniero viene identificato come Petra de Albano; in altri documenti è definito castrum lapidis Murii o castum Albani (1376). E’ nominato anche all’interno di una serie di diritti episcopali e feudali presenti in Val Lagarina, all’inizio del XIV secolo, fondato come feudo del vescovo.

 

La dinastia che cominciò ad essere protagonista sul colle di Albano fu proprio quella dei de Albano, imparentata per via matrimoniale con i signori di castel Corno. Scorrendo la documentazione archivistica si nota che il castello fu sede di importanti incontri di ratifica feudale come quando il 14 febbraio 1275, al castello di Albano salì il principe vescovo di Trento, Enrico II, per investire Hilprando de Bindis di un feudo.

 

La presenza della famiglia Castelbarco sul colle di Albano si ipotizza sia posteriore al 1300; un’investitura del 1339 fatta dal vescovo Nicolò di Bruna a Giovanni figlio di Abriano Castelbarco, riguarda proprio il castrum Albani, feudo riconosciuto nominalmente appartenente alla Chiesa tridentina. Di padre in figlio il castello arrivò a identificarsi con il ramo dei Castelbarco di Albano. Con una divisione esemplare, nel luglio 1358, la giurisdizione di Albano venne assegnata ad Armano figlio di Federico Castelbarco. Tale signoria comprendeva castel Albano con tutte le giurisdizioni, feudi e pertinenze, le ville di Mori, Ravazzone, Nomesino, Manzano e Corniano, i beni di Aldeno e della pieve di Lagaro. La stessa villa di Mori era divisa in due giurisdizioni, di cui una, “al di qua del Cameraso” faceva capo ai Castelbarco di Albano e comprendeva oltre a Ravazzone e Molina, Zochel, Lambel, Mori Vecchio e Castel Vecchio, detto anche Castel Verde a Loppio, fino al Dosso di sant’Andrea. L’ultimo signore di Albano fu Ottone che nel testamento del 13 luglio 1413, non avendo figli maschi, dispose che il maniero andasse al cugino Guglielmo Castelbarco della linea di Lizzana. Dall’inventario steso dall’erede Guglielmo, pochi giorni dopo, scaturisce una plastica immagine del castello “edificato sopra la pietra di Albano sopra la villa di Mori in Vallagarina, su una costa; col castellario e la sua castellanza, fortificato da mura; è edificato con legname, coperto di coppi, con un giardino, con otto piante di melo e molti altri alberi da frutto che stanno al suo interno.”

 

Nel 1439 non riuscì a sfuggire al ferro e fuoco dei veneziani e le sue rovine sono diventate corona per altri scenari di cui protagonista è la chiesetta dedicata alla Vergine Annunciata di Monte Albano.

 

Tratto da: Chiara Ballarini, L’anima del tempo. Appunti sul culto mariano dal XVI al XX secolo, nel santuario di Monte Albano e nelle chiese filiali della Parrocchia di Santo Stefano in Mori, edizioni Osiride, Rovereto 2015.