“VILLANUOVA” E LA SUA STORIA

In questo numero ci dedichiamo alle origini di Mori o, meglio, a un particolare di essa. E parliamo della contrada di “Villanuova”.

 

E’ proprio la parola stessa che suscita curiosità dando origine a svariate ipotesi e interpretazioni. In passato qualcuno aveva supposto che il nome derivasse dalla presenza da un fabbricato signorile, isolato dalle altre costruzioni più modeste, munito a mezzogiorno da un ampia scalinata, che lo faceva assomigliare a una villa. Ma non è così. 

 

Andando a ritroso nella storia, cerchiamo di precisare come si configurava Mori prima dell’anno mille. Le notizie attendibili cominciano dal quinto secolo e coincidono con l’arrivo del cristianesimo nel nostro territorio. All’epoca, la futura borgata era composta da tre borghi, o tribù, o ville come allora erano chiamati: L’attuale Via Mirabella e Lambel, Mori Vecchio (forno), e  Nardigna. Erano amministrati dai capi famiglia i quali, a loro volta, eleggevano il capo-villa o villano. Precisiamo che il comune, come impianto amministrativo, non esisteva ancora. Fu con l’avvento dl cristianesimo che le tre realtà si unirono formando una unica comunità e prendendo il nome di S. Mauro.

 

Sulle origini del nome di Mori gli storici hanno avanzato svariate ipotesi. Uno di essi sostiene che il nome abbia la sua derivazione da un legionario romano di nome Caius Marius, rimasto al comando della zona dopo il passaggio delle legioni romane alla conquista della Rezia. Un altro fa derivare il nome da “moro”(gelso): ipotesi senz’altro da scartare tenendo conto che la coltivazione del baco da seta (e conseguentemente del gelso che forniva la foglia per alimentarlo) venne introdotta verso la fine del 1700 dall’abate Grazioli di Trento il quale portò di nascosto in un bastone da pellegrino il seme dei bachi da seta dalla Cina dove prestava la sua opera missionaria.

 

L’ipotesi più attendibile sembra propendere per il nome di S.Mauro, suo primo nome. Lo confermerebbero quei documenti storici che ricordano il passaggio delle navi veneziane attraverso la valle del Cameras nei quali si legge che furono tirate in secca presso Mori “anticamente chiamata S. Mauro”.

 

Ritornando alla storia dell’unica comunità che conglobava le tre ville, si arriva alla costruzione di un luogo d’incontro (chiesa) molto piccolo, probabilmente in legno, con annesso cimitero, (sicuramente sull’area dell’attuale), dove la gente si riuniva per l’ascolto della parola e per la celebrazione dell’Eucarestia domenicale. Fu da allora che i tre gruppi diventarono una sola comunità.

 

Le prime notizie documentate risalgono all’inizio del secondo millennio e parlano della costruzione della nuova chiesa in sostituzione della precedente, con il campanile.

 

Torniamo ora alla contrada di Villanuova. Verso la metà del periodo medioevale la popolazione del borgo subì un processo veloce di crescita per l’arrivo di nuovi nuclei familiari provenienti sia dalla pianura come dalle regioni del nord; il che produsse un notevole sviluppo demografico ed economico. Sorsero opifici lungo il corso del rio Cameras, iniziarono gli scambi commerciali con le zone limitrofe, si moltiplicarono le fiere portando fra la gente un discreto benessere economico e, come conseguenza, lo sviluppo edilizio.

 

Uno dei primi insediamenti fu certamente la contrada di Villanuova che documenti  attendibili fanno risalire all’undicesimo secolo. Infatti nell’anno 1247 troviamo un certo Mazarinus de Vilanova, un Vilanus de Vilanova e ancora Henricus e Beneventus da Vilanova.Precedentemente, nel 1236, un certo magister frater Vilani et Paxsolinus eius frater de Vilanova et ita bisnonna domini Warimbertus de Albano capo-villa de Villanova sono ricordati in un placito o contratto di matrimonio. Un’altra notizia arriva da Francesco Malfatti, figlio di Giacomo, primo Vicario dei quattro Vicariati, il quale interviene in una disputa fra famiglie circa l’elezione del capo-villa di Vilanova. Il vicario amministrava la giustizia, concedeva licenze di commercio, ratificava le elezioni all’interno della Villa; fino al 1411 dipendeva dalla potente famiglia dei Castelbarco, per passare poi, per volere testamentario di Azzone di Castelbarco alla Serenessima. 

 

L’aspetto edilizio della contrada di Villanuova era secondo lo stile lagarino: case addossate una all’altra, ad eccezione di una che si staccava dal complesso. Questa era di forma rettangolare, isolata dalle altre; vi si accedeva per una scalinata. Sicuramente era l’abitazione di qualche facoltoso personaggio, forse un magistrato.

Qualcuno, come precedentemente accennato, vorrebbe far risalire il nome della contrada a questo fabbricato; ma l’origine è diversa. Il gruppo di fabbricati, che ricordano le case a schiera, compresi gli opifici a valle, fu un nucleo autonomo con un proprio consiglio e un proprio capo-villa, come nelle altre tre entità che formavano il borgo. Dato che la contrada sorse con qualche secolo di ritardo nei confronti delle altre comunità, fu chiamata Villa Nuova, frazione nuova, borgo nuovo.

Nel tempo Villanuova si è sempre qualificata come una contrada laboriosa e fiorente per le più svariate aziende artigianali. Un particolare singolare che non si ripete in altri siti della borgata è costituito dai portali delle botteghe degli artigiani: tutti uguali, a sesto fesso.

 

La prima azienda artigiana che la storia ricorda fu un mulino azionato con l’acqua del rio Cameras, il quale all’inizio del diciannovesimo secolo si trasformò in un opificio che produceva colori, lavorando materiale estratto in località Bot, in quel di Besagno. Qualche anno dopo, li vicino, sorse una fucina per la lavorazione del ferro. Fu l’inizio di un vero boom artigianale. Senza paura di essere smentiti, si può affermare che Villanuova fu in passato la contrada tipica dell’artigianato. 

I locali dove si lavorava erano chiamate “botteghe” la stessa denominazione dei locali dei grandi artisti che resero grande l’Italia. 

 

A Villanuova erano presenti e operanti tutti i settori dell’artigianato tradizionale: il bottaio, il fabbro,il calzolaio, il falegname, il restauratore di mobili antichi, il tessitore, l’orologiaio, il funadro, il ramaio. Più recentemente si era aggiunta una cantina e una fabbrica di crauti, con annesso un magazzino per la stagionatura del formaggio. 

Con l’avvento e il miraggio dell’industrializzazione tutto è sparito, mettendo in crisi quella cultura che ne era il supporto, soprattutto quel rapporto fra le persone che sta alla base di una corretta convivenza civile.

 

 

 

Articolo di G. Martinelli  

 

Tratto dal bollettino parrocchiale “MORI E LA SUA GENTE”  n° 50 natale 2005