GUSTAVO MODENA

Gustavo Modena nacque a Venezia il 13 gennaio del 1803 da Giacomo di Mori e da Luigia Lan¬cetti, ambedue rinomati attori teatrali. Il padre, benché, primieramente, sarto di professione, era in possesso di predare doti di mente, ancor giovane, levò le tende da Mori e si trasferì dapprima a Ve¬rona, di dove, con 30 soldi in tasca e molte speranze nel cuore passò poi a Venezia, nel qual suol vide la luce, appunto, il nostro Gustavo, che fu poi educato con rispettabile cura e mandato a studiare ancora a Verona sotto la direzione del dotto religioso padre Corsarotti.

 

Le prepotenze austriache e francesi, le sanguinose repressioni, le condanne a morte, i famosi processi del 1821, (protagonista il giudice istruttore, pure di Mori, barone Antonio Salvotti con la condanna di Silvio Pellico) impressionarono fortemente quell'animo giovanile. Anzi, in un tafferuglio av¬venuto tra studenti e poliziotti, fu gravemente ferito.

 

Il 3 gennaio del 1821, Gustavo Modena fece domanda ed ottenne di essere iscritto alla facoltà di legge all'Università pontificia di Bologna e 3 anni dopo, il 6 febbraio del 1824, precisamente a 21 anni di età, terminò gli studi universitari, conseguendo, col voto unanime dei professori la laurea di dottore in legge.

 

Dopo 6 mesi di avvocatura in Roma, ritornò a Bologna in quella Corte d'Appello. Ma poi che i codici e le toghe Egli prediligeva il teatro, di cui peraltro conosceva già i più reconditi atteggiamenti e gli alti fini politici, sociali e morali.

 

Gustavo Modena entrò dunque, pieno di entusiasmo, nella compagnia drammatica di Luigi Fabbrichesi, con lo stipendio di lire 6.000 annue; vi fece parte per poco, però.

 

Apparve sulle scene, per la prima volta, a Venezia nel 1824, rappresentando nel «Saul» la parte di David. Da quella memorabile sera fu artista. Nelle sue vigorose interpretazioni metteva realtà di fantasia, verità morale e storica, filosofia ed entusiasmo, esaltando le platee di allora.

 

Da Milano, a Venezia a Roma si parlava dell'ormai celeberrimo attore; ovunque fantastiche acclamazioni ed onori.

 

Dalla compagnia Fabbrichesi, più sopra mentovata, passò successivamente in quella del padre Giacomo (autentico moriano) ove, rappresentando una volta la «Virginia» volle il genitore la parte di Virgi¬nia e Gustavo quella di Icilio.

 

Prese anche parte ai moti rivoluzionari di Bologna, dopo un discorso improvvisato la sera del 7 marzo 1831. Dovette, di conseguenza, precipitosamente fuggire e fu severamente condannato in contumacia.

 

Combattè ardimentosamente nelle file del generale Zucchi e condannato ancora dall'Austria impe¬riale cercò di bel nuovo scampo con la fuga. Però stavolta fu beccato da una galetta austriaca che stazionava nelle acque di Brindisi e fu portato a Messina. Ben 36 giorni trascorse nel fondo di una lurida stiva, con davanti sempre l'ombra sinistra del capestro. Però, dopo lunghe ambasce e patimenti riuscì a passare in Francia, poi a Ginevra, nel Belgio e, di lì, a Londra. Solo nel 1839 potè far ritorno in patria.

 

Nel 1843 fu a Milano al teatro Re, suscitando in questo ed in altri ancora accesi entusiasmi del pubblico. Sue parti preferite furono: Polinice e Leicester della Maria Stuarda di Schiller; Guglielmo nei Due Segreti del Botti: l'Achille nell'Ifigenia di Euripide; Paolo nella Francesca del Pellico. Suoi capolavori: il Saul dell'Alfieri; il Fornaretto e la Danae di Dall'Ongaro; il Luigi XII del Dalavigne; l'Ernani e l'atto primo dell'Adelchi.

 

Oltre che attore fu pure famoso declamatore di versi, quali il XXVI, canto del Paradiso, ed il XIX, XXIV, XXI dell'Inferno della dantesca Divina Commedia.

 

Come scrittore lasciò un bellissimo epistolario, edito a cura della Società per le opere di Mazzini e molte lettere inedite.

 

Rifiutò un impegno offertogli da Cavour e, come Mazzini, si mantenne inflessibile sul piano politi¬co; era nato repubblicano, aveva combattuto e sofferto per l'instaurazione della repubblica; Gustavo Modena ebbe sempre fissa l'idea di una più ampia associazione di popoli liberi e repubblicani.

 

Brofferio, Prati, Giusti, Manzoni, Tommaseo ammirarono in Lui il patriota e l'artista.

 

La grande opera di redazione intrapresa dai repubblicani lo ebbe apostolo e soldato inesausto al fian¬co di Mazzini, per la realizzazione di quel sogno che gli doveva costare delusioni, persecuzioni, pe¬regrinazioni sconsolate per tutti i lidi d'Italia.

 

Morì il 20 febbraio del 1861 a Torina; e Mori gli ha dedicato la sua principale contrada nel centro storico.

 

G. B El Campanò di San Giuseppe 1979