LA PRESENZA DI EBREI A MORI

La tradizione vuole che anche a Mori, a partire da medioevo, abitasse una famiglia o colonia di ebrei. Attraverso documentazioni storiche di archivio e biblioteche, ma soprattutto da scoperta di reperti che la documentazione, è accertata la presenza di una comunità ebraica (o giudaica se così la si vuole chiamare) che gestiva i porti fluviali e la riscossione dei dazi di Ravazzone e di Seravalle.

 

Il porto di Ravazzone nel periodo medioevale era d’importanza strategica per il transito delle merci che arrivavano, via fiume, dal nord come dal sud, e che poi, attraverso la valle del Cameras, raggiungevano il Benacus (Lago di Garda).

Non ci è dato sapere se i due porti fossero di proprietà, oppure dati in gestione dall’autorità vescovile a questa colonia di ebrei che avevano la loro abitazione in “Contrada del ghetto”, l’attuale via Mirabella.

 

Un documento del dodicesimo secolo (1188) fa menzione di un gruppo di persone:Anselmo di Enrico di Mori e consorte, Ugucane, Morfino di Lamolo (Lambel), Teramerio di Wangherio di Besagno ed Hermanno, le quali vennero investite dal Principe Vescovo di Trento, Alberto da Campo, della navigazione sull’Adige da Seravalle fino a Bolzano. Quattro anni dopo a Morfino di Rambaldo di Mori e ad una società di persone, sempre di Mori, venne assegnato dal Vescovo Corrado di Beseno, successore di Alberto da Campo, il diritto di riscossione del dazio sull’Adige. Più avanti nel tempo troviamo anche un certo Tisolino e un Guariento da Mori, e poco più tardi Copo con il figlio Turrisino quali gestori dei due porti.

 

Le persone sopra citate sono i primi rappresentanti di quel ceto commerciale e imprenditoriale che, vicino agli altri, formeranno la Pieve di Mori. Questa, infatti, si stava trasformando e configurando come “nuova borgata” nella quale alcune famiglie, talora consociate fra loro, si caratterizzavano, distinguendosi dalle tre classiche società medioevali che fino allora componevano: lavoratori della terra, sacerdoti e militari. Queste famiglie si arricchivano attraverso privilegi fiscali e commerciali, ricevuti in feudo dall’autorità vescovile. La borgata stava avviandosi verso un notevole sviluppo economico, nelle sue contrade fiorivano svariate attività commerciali e si tenevano ricche fiere; comparvero lungo il corso del rio Cameras molti mulini, segherie, e molteplici attività artigianali. E’ durante questo periodo che alcune famiglie di ebrei presero dimora a Mori nelle case poste proprio ai piedi del Castello di Montealbano, anche se le prime notizie sicure che le riguardavano sono arrivate un secolo dopo, durante la signoria dei Castelbarco. Essi infatti proteggevano e  sfruttavano alcune famiglie di ebrei abitanti nel “ghetto”, lungo la “strada imperiale”, presso il centro fieristico del Zochel.

 

Gli ebrei in generale, quindi anche quelli di Mori, prestavano denaro a interesse elevato, l’usura, sistema deprecabile ma imperante in una industriosa borgata in crescita e allora priva di altri istituti  di credito, oltre a essere impegnati in altri commerci, per loro tradizionali, come quelli dell’oreficeria e dei tessuti.

 

Gli ebrei di Mori erano italiani o tedeschi? Se italiani, provenivano dalla comunità di Verona, giunti al seguito dei signori di Castelbarco, ma la loro origine potrebbe essere anche tedesca. Le loro abitazioni erano situate in via Mirabella, chiamata a quel tempo “Contrada del Ghetto”, perché appunto abitata da ebrei. Se le case da loro abitate erano più d’una, è lecito ritenere che la colonia di Mori avesse una certa consistenza. Gli edifici erano addossati gli uni agli altri, con apertura di passaggi fra loro; uno spazio era destinato a sinagoga,con annesso bagno e macelleria; nelle vicinanze un terreno era con ogni probabilità adibito a cimitero. Infatti durante gli scavi eseguiti subito dopo la seconda guerra mondiale per la canalizzazione delle acque vennero alla luce resti di scheletri molto antichi che gli esperti fanno risalire al tempo del medioevo.

 

Inoltre quaranta centimetri sotto l’attuale livello della strada di via Mirabella si trova un selciato con segni di passaggio di carriaggi: tutto fa pensare a un tratto della via imperiale che dal porto di Ravazzone portava al Garda.

Le abitazioni ebraiche si distinguevano dalle altre perché avevano i locali fra loro intercomunicanti. La grande stella di David scoperta sotto l’intonaco durante la ristrutturazione delle case, gli affreschi trovati sulla parete di una grande stanza (probabilmente adibita a sinagoga) testimoniano senza ombra di dubbio il luogo dell’insediamento della colonia ebraica a Mori.

 

Gli affreschi erano ricoperti da tre strati di intonaco e raffiguravano dei nudi con altri personaggi vestiti ala foggia orientale. Tali pitture erano in cattivo stato di conservazione, ma di buona fattura. Gli esperti le hanno datate come opere risalenti al tredicesimo o quattordicesimo secolo. Caratteristica di ogni locale era la presenza di un punto luce formato da una nicchia a sesto acuto, ove era posta una lampada a olio. Al centro della stanza si trovava un’alcova, chiamata anche talamo, destinata al capo colonia o al rabbino.

 

In una grande stanza, munita di un soffitto ligneo in parte intarsiato con forme geometriche, presumibilmente destinata alla preghiera sinagogale, si trovavano due camini, dei quali uno collegato a una specie di condotta che si infilava all’interno del muro e serviva per l’aria calda che girava attorno a tutta la stanza. In altre stanze vi erano altre decorazioni di colore rosso angelico -pompeiano. Qualche storico afferma che gli ebrei si sarebbero insediati a Mori tra l’anno 1000 e il 1200; ma notizie più attendibili, accompagnate da documenti, farebbero arrivare gli ebrei verso l’inizio del quattordicesimo secolo. E’incerto se la comunità dopo il martirio del piccolo Simone (conosciuto nella storia come San Simonino) avvenuta a Trento durante la Settimana santa dal 1475 e del quale venne accusato ingiustamente l’ebreo Samuele, sia stata cacciata temporaneamente da Mori insieme con gli ebrei residenti nel Principato di Trento. Certamente, in seguito all’intervento di Papa Sisto IV, vennero riammessi e tollerati.

 

Notizie sicure sugli ebrei di Mori si hanno cominciando dal quattordicesimo secolo quando Nicolò Madruzzo, fratello o cugino del Vescovo di Trento e barone dei Quattro vicariati, nel 1554 convalidò ad essi i benefici già in precedenza accordati, cioè la gestione e la riscossione dei dazi  dei due porti di Ravazzone e Seravalle. (più tardi questi benefici saranno trasferiti alla potente famiglia dei Betta di Tierno della quale faceva parte anche Giovanni Francesco Guglielmo, pievano della chiesa di S. Stefano di Mori).

 

Nel 1582 Fortunato, un altro membro della famiglia Madruzzo e capitano dei Quattro Vicariati, concesse all’ebreo Sansone de Sacerdoti, figlio di Grassone, il privilegio di esercitare a Mori l’usura: per sé, per i suoi eredi e per i suoi compagni. Tale privilegio si articolava in ventiquattro capitoli che si possono ritenere il primo regolamento conosciuto di un Istituto di credito operante a Mori con il sistema del Banco dei pegni. L’interesse era fissato al 26% annuo per gli abitanti dei Quattro Vicariati e al 36% per i forestieri. Abbiamo la certezza che Sansone abitasse in via Mirabella assieme ad altre famiglie di consociati e dipendenti. Il Principe Vescovo di Trento Joannes Hindebach favorì la presenza delle comunità ebraiche su tutto il territorio del principato in quanto composte da persone di notevole capacità e cultura: banchieri, orafi, musici, medici, ostetriche, e spesso necessarie all’economia della borgate. A Mori, come a Isera, gli ebrei rimasero più a lungo, forse fino alla fine del Settecento. Non si sa se poi se ne andarono o continuarono a vivere nella nostra comunità dopo essersi convertiti, magari con l’assunzione di nuove identità.

 

 

 

Articolo di G. Martinelli  

Tratto dal bollettino parrocchiale “MORI E LA SUA GENTE”  n° 46 primavera 2004